È per fatica di capirti che mi vien da vomitare
“Dai, andiamo via”. Mancava poco alla fine del primo tempo e ancora mi sembra di sentir la mano di mia madre che mi porta verso l’uscita del cinema. A chiudere gli occhi, vedo il nero e via della Conciliazione. Certamente il buio era quello della sala, ma confondo il paesaggio di una Roma cinematografica con quella abitata dalla Cinquecento giardinetta dei miei genitori.
L’episodio del frigorifero che i coniugi Puddu – Gavino [Jannacci] e Adele [Monica Vitti] – finiscono di pagare solo grazie alla moglie che decide di prostituirsi doveva essere troppo anche per una madre di sinistra. Però, da allora non ho mai più lasciato un film non finito. Sono sopravvissuto a corazzate Pomtemkin, a meravigliosi ma interminabili pellicole sudamericane felicemente rivoluzionarie. Ho visto anche tre volte i primi Truffaut, approfittando nelle repliche della colonna del Farnese che, tutto sommato, giustificava la mia dedizione alle labbra delle compagne di classe piuttosto che alle già viste espressioni del giovanissimo Jean Pierre Leaud. Andarmene mai. Di quel film visto in un anno di passaggio dall’infanzia alla adolescenza mi piaceva troppo l’espressione stralunata di quel ragazzo che già avevo visto cantare; e poi, perché portarmi via prima ancora che, nell’intervallo, potessi avere la soddisfazione di una Bomboniera Algida?
Un piccolo ma duraturo trauma di fine infanzia mi ha fatto amare Jannacci e, per suo tramite, il confine tra la serietà e il gioco. Chissà se in questa incertezza rientrava anche la sua prima – e poi ripresa – professione: per me, lui “era” l’Allegro chirurgo, oltre ogni possibile e giustificata malinconia.
Qui ci va una pausa, per chi non ha vissuto quegli anni. Fare il cardiochirurgo era una roba strana, un mestiere tipo l’acrobata che fa il salto mortale sul filo e – per una che ci riesce – dieci volte casca sulla rete. A cavallo dei Settanta, la cardiochirurgia erano il grande Michael De Bakey e il seduttore Christian Barnard che a Capetown sostituiva cuori a uomini che transitavano dalla prima pagina dei quotidiani al proprio funerale. Tutto in diretta e terribilmente vero: non si faceva a tempo ad affezionarsi alla persona “salvata” che già dovevi compiangerla.
Giusto un pazzo si sarebbe fatto coinvolgere in certe avventure. E infatti Jannacci si rituffò nella professione di chirurgo come via d’uscita da un’industria della canzone che, ovviamente, inseguiva eroi diversi. Tanti anni passati in un avanti e indietro tra i cuori e la musica. Forse, onde evitare.
Quando capirai che non potrò più camminare, neanche in mezzo alla strada
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Non so se è più bello quello che hai scritto tu Luca o il testo di Onliù, so che mi hanno emozionato tutti e due,
grazie.
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