Chi non è della Google Generation?
1. Per leggere qualcosa devi stamparla.
2. Se mandi una mail telefoni per sapere se l’hanno ricevuta.
Non sei un “nativo digitale” e nel tuo cervello non c’è spazio per quel minimo di mappa mentale che ti permetterebbe di capire – tanto per dirne una – come funziona l’informazione su internet. Non hai chiaro nella testa che un conto è un database, altro è un catalogo librario e altro ancora un motore di ricerca. Per cui, per te, Pubmed vale Science Direct e tra questi due e Google praticamente non c’è differenza (anzi, per te c’è: i due li consideri e Google no).
La Google Generation, si diceva. Per qualcuno (come Hannah Spring, editorialista di Health Information and Libraries Journal) è una generazione a rischio dal punto di vista culturale: chi ne fa parte ha la tendenza a navigare in superficie, a non approfondire l’informazione online, muovendosi rapidamente tra le pagine web e dando solo un’occhiata fugace a ciò che trova. Ancora: la ricerca è importante di per sè, non è un mezzo ma il fine (“more emphasis is placed on the journey to the information than the arrival at it”.
La Google Generation ha un vantaggio: sa usare la Rete, sa stare in rete. Sa che la ricerca (clinica, documentale: tutta) non è un’attività individuale e ci può stare che qualcuno stia più in superficie e qualcun altro scenda, si immerga, approfondisca. Perché quello che uno avrà trovato saprà come condividerlo e il confronto è la ricerca, è l’approfondimento.
Spring H. Health professionals of the futurre: teaching information skills to the Google Generation. Health Information and libraries 2010;27:158-62.
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